Il distanziamento sociale, misura preventiva necessaria per contrastare la diffusione del Coronavirus ha, tra le altre cose, determinato la sospensione delle attività abitualmente svolte in tutti i centri diurni che costituiscono un importante supporto per coloro i quali hanno una persona con disabilità grave, come ad esempio l’autismo, in famiglia.
Le strutture socio assistenziali rappresentano un punto di riferimento essenziale per queste famiglie.
Ma oggi sono chiuse. E per le famiglie è un problema.
L’autismo rientra in quelli che vengono definiti “disturbi pervasivi dello sviluppo”: è un disordine neuropsichico a esordio infantile, che si protrae lungo tutto l’arco della vita, che comporta problemi, più o meno gravi, nella capacità di comunicare, di entrare in relazione con le persone e di adattarsi all’ambiente.
I Disturbi dello Spettro Autistico sono una condizione complessa, che presenta elevata varietà di sintomatologia e severità.
Secondo le più recenti indicazioni scientifiche non è ipotizzabile un unico modello di intervento valido per tutti, sono bensì necessari percorsi integrati, comprendenti interventi pedagogici e abilitativi.
Ai ragazzi viene proposto, sotto la guida di un’équipe esperta, un programma psico-educativo di gruppo, attraverso attività espressive che spaziano dal giardinaggio, alla cucina, a laboratori di tipo artigianale.
L’attenzione degli educatori mira allo sviluppo e al mantenimento di abilità connesse all’autonomia personale e alla socializzazione con gli altri.
“Nel periodo di pandemia che stiamo vivendo, i nostri ragazzi – dice Norma, mamma di un bambino autistico – restano a casa, con il proprio isolamento, le proprie angosce e tutto questo, nel migliore dei casi, genera una leggera, ma costante, regressione.
Tutti pensiamo oggi al futuro come incerto: per chi ha un figlio autistico è una sensazione ben conosciuta, fin dal momento della diagnosi, quando ci si rende conto che nulla sarebbe più stato come nei progetti o nei sogni.
Il dolore anticipato è la mente che va verso il futuro e immagina il peggio.
Per calmarsi, è necessario vivere nel presente e accettarlo.
Mai come in questo periodo i più fragili sono nudi, sono deboli, sono sopraffatti, sono senza rete. Per le famiglie con a carico una persona autistica lo “tsunami ” del Covid-19 è devastante, le ha lasciate ancor più sole di prima”.
“Le poche reti di supporto, dalla scuola, ai centri educativi, all’assistenza domiciliare con gli educatori, sono venute meno. – continua Norma –.
Tutte le persone con disabilità intellettiva hanno dovuto subire, dall’oggi al domani, un cambiamento di routine, senza capire perché o poter essere accompagnate in questo momento.
Tutto ciò, ha generato in noi genitori un gravissimo senso di disagio e frustrazione. È una situazione drammatica.
L’educazione di un bambino con autismo, come mio figlio, comporta un lavoro intensivo e qualificato, che richiede una preparazione puntuale, un percorso lungo ed estenuante e la mancanza di continuità rischia di vanificare il lavoro di abilitazione fatto.
Per i soggetti più grandi, che ancora vanno a scuola o sono inseriti in centri (rari) o in attività di vita indipendente, si interrompe quella quotidianità, quella routine, quel contatto con i compagni, con le addette all’assistenza, con le educatrici, essenziale per la socialità e l’integrazione.”
“Il carico di questa disabilità invalidante sta esaurendo noi famiglie – prosegue Norma – .
Tra le paure più pesanti, la possibilità di ammalarsi e ritrovarsi in ospedale con il dramma di chi possa seguire il proprio figlio o figlia o, ancora peggio, vedere ricoverato il ragazzo disabile e andare incontro al rischio di un triage sfavorevole così come sta avvenendo negli Usa”.
“So che da pochi giorni, dice ancora, dagli Stati Uniti attraverso il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) sono arrivati nuovi dati sulla prevalenza dei casi di autismo nei bambini registrando una crescita portando il numero a un bambino su 54, mentre due anni prima era stato uno su 59, e di un bambino su 166 nel 2000.
Stabile resta il rapporto fra maschi e femmine che è di 4 a 1.
Molti ricercatori, negli ultimi anni, parlano di una competenza emergente chiamata “restartability”, ovvero la capacità di ricominciare in modo radicale e positivo nel lavoro e nella vita.
Ecco, forse secondo il mio modesto parere, bisogna ripartire da qui, da un nuovo inizio collettivo che rivaluti il concetto di fare rete, di cooperare, di premiare e sostenere chi lavora e chi ha idee collettive”- conclude Norma-.