Francesca, nome di fantasia, diciannovenne palermitana, a distanza di alcuni giorni dall’aver subito una violenza sessuale, aggiunge ulteriori dettagli sullo stupro che, probabilmente cambierà per sempre la sua vita.
La sera del sette luglio scorso, in un cantiere dismesso nelle vicinanze del Foro Italico di Palermo, un branco di sette ragazzi, ha ripetutamente abusato di lei, riprendendo la scena con il cellulare.
I frames di quei video, oltre a quelli delle telecamere di video sorveglianza della zona, scandiscono quegli interminabili momenti.
Sbeffeggiata, violentata in gruppo, provata nel corpo e nell’anima, Francesca è riuscita comunque a trovare la forza per reagire, denunciando quell’orrore ed affidando ad una lettera le sue riflessioni.
Parole mature le sue, rivolte a tutte le donne che, come lei, sono state vittime di violenza, per le quali invoca più protezione.
Sommersa da minacce ed insulti da parte di chi, per il solo fatto di preferire un certo tipo di abbigliamento, pensa abbia meritato tutto quello che le è accaduto, la ragazza è stata allontanata dalla sua città e portata in una casa protetta.
Una vicenda molto triste, l’ennesima, sintomatica di un malessere latente che continua a crescere, senza che nessuno vi ponga freno.
È una situazione allarmante che impone alcune riflessioni, prima tra tutte, da dove scaturisca tanta violenza.
Rivolgiamo i nostri interrogativi al dottor Marco Piccolo, noto psicologo di Cosenza.
Dottor Marco Piccolo – psicologo –
“L’episodio di Palermo è divenuto agghiacciante quando sono stati diffusi i messaggi che i giovani mostri si sono scambiati all’indomani dello stupro.
“Eravamo cento cani su una gatta, ma la carne è carne”, si legge nelle chat che lasciano sgomenti.
Dalle riflessioni di alcuni psicoanalisti, pensiamo ad Erich Fromm e Boris Cyrulnik, ma soprattutto dagli esperimenti condotti da Stanley Milgram e Phil Zimbardo, è emerso il dato secondo cui non esistono i buoni ed i cattivi ma che esiste, al contrario, la “banalità del male”, scatenata da situazioni contingenti al momento ed al luogo nella quale si trovi una persona”.
È realmente il gruppo che la alimenta, o c’è qualcosa di più profondo in cui ricercarne le cause?
“Questa riduzione dello scarto fra buoni e cattivi avviene più facilmente in gruppo poiché questo nasconde la furia individuale e la deresponsabilizza.
La forza del gruppo è la sua organizzazione, i cui partecipanti hanno spesso segni identificativi, parlano lo stesso linguaggio, si abbeverano da identiche culture e slogan popolari”.
Chi è responsabile di questi comportamenti? La scuola è davvero in grado di svolgere la funzione educativa che è chiamata ad esercitare?
“Nel caso in specie, un aspetto emerso da subito nelle chat dei ragazzi, è come la mentalità di questi giovanissimi stupratori sia profondamente permeata sui modelli misogini e violenti della pornografia, alla quale purtroppo in Italia hanno libero accesso anche i minorenni, benché ne sia loro vietato l’accesso solo sulla carta.
Una battaglia di civiltà che porto avanti da anni e sono lieto che oggi sia sotto l’attenzione di tutti, in particolare della politica, la necessità di rendere effettivo, anche nel nostro Paese, il divieto di accesso alla pornografia ai minorenni.
La pornografia di facile accesso, è solo una delle tante manifestazioni di una società sempre più disordinata.
Filosofie a basso costo, ma ad altissimo odiens, ne hanno infatti minato la struttura tradizionale, che si fondava sul valore “sacro” della vita umana, rendendo confusi e molto superficiali valori come l’affetto, l’amore, il rispetto, ecc.
La società dei consumi rende disponibile oggi qualsiasi cosa vogliamo, ma soddisfa sempre meno il nostro “desiderio”, che è ben diverso dal “bisogno”, alla radice di tutti i sintomi, nevrotici o psicotici, individuali o collettivi.
La responsabilità è quindi politica e sociale, peraltro sempre più sovranazionale, in quanto gli humus in cui siamo immersi come persone – lavoro, scuola, cultura, famiglia – sono sempre più condizionati, anche a livello normativo, da lobby e strutture sovranazionali. E le formazioni sociali che avrebbero il compito di “contrastare” tali episodi sono sempre più assenti”.
Quali misure sarebbe opportuno adottare per contrastare il dilagare di tali episodi?
“La dimensione dell’emergenza per certi aspetti è positiva in quanto rimanda all’emergere, e quindi al portare alla luce e guardare in faccia fenomeni sommersi, per certi aspetti oscuri, anzitutto ai genitori, ma in generale all’intera società che nel tentativo ossessivo di vivere una vita sempre “giovane” di fatto si allontana sempre più dai veri giovani, dai suoi figli.
Come psicologo, se da una parte riconosco le dinamiche emozionali profonde dell’individuo, dall’altra so che ogni cambiamento evolutivo si fonda sul riconoscimento delle energie e delle forze individuali e collettive che possono essere attivate, valorizzate e messe in campo.
Se da una parte è giusto portare all’attenzione delle istituzioni le emergenze psicosociali, evidenziandone le cause ed avanzando proposte “politiche”, dall’altra credo sia dovere di ciascuno di noi gettare piccoli semi di civiltà, di dignità, di libertà, facendo crescere i valori che possano rafforzare la scelta del bene, soprattutto da parte dei nostri giovani.
Credo, infatti, che il recupero della nostra tradizione umanistica possa diventare un obiettivo prioritario per la scuola italiana, ad esempio, promuovendo lo studio della filosofia e delle scienze umane, come la psicologia, in tutti gli istituti superiori e non solo nei licei.
Il lavoro più importante deve, però, essere portato avanti dai genitori che devono riassumersi la responsabilità educativa dei loro figli, nella consapevolezza che il loro ruolo non è delegabile e che, oggi più di ieri, possono contare sul sostegno professionale di psicologi e terapeuti, verso i quali negli ultimi anni è venuto meno ogni tipo di stigma rispetto al passato”.