La FISH, Federazione Italiana Superamento dell’Handicap, ha promosso, nei mesi scorsi, una serie di seminari, anche di formazione, facenti parte del Progetto Welfare 4.0, sulla relazione tra comunicazione, informazione e disabilità.
Un sillogismo ancora oggi difficile da comprendere e da superare, in quanto rapporto sovente connotato da paternalismo, pietismo, ignoranza nonché di inosservanza di quelli che sono i principi fondamentali da rispettare affinché si possa parlare di comunicazione realmente accessibile, fruibile ed inclusiva.
Una proposta formativa per giornalisti e comunicatori e per tutti quelli che, per ragioni differenti, fossero interessati all’argomento.
Incontri che si sono articolati in diverse tappe, a partire da quella di Lamezia Terme, per poi snodarsi in diverse città del territorio, come Gorizia, Milano e Napoli, nei quali, con l’intervento di professionisti del settore e di testimonianze personali di chi ha voluto dare il suo contributo ai vari webinars, mettendo, di volta in volta, sul tavolo di lavoro la propria esperienza, si è trattato diffusamente il tema dell’accessibilità della comunicazione in tutte le sue accezioni: dalla relazione tra disabilità e narrazione cinematografica e nelle serie televisive, al racconto delle “storie di vita” che animano la cronaca giornalistica dei nostri giorni.
Il peso delle parole
“C’è bisogno di imparare a comunicare nel modo più corretto, per scrivere la storia delle persone nel rispetto della loro dignità e dei diritti umani.
Le parole hanno un peso ed il loro utilizzo improprio genera discriminazioni che si ripercuotono inevitabilmente nella vita di ciascun individuo”.
Nunzia Coppedé, Presidente della FISH Calabria, ha così tracciato le linee guida del seminario sull’uso appropriato delle parole.
“I gradini questa volta non c’entrano: accessibilità e fruibilità della comunicazione e dell’editoria”, intestazione emblematica di uno dei webinar dell’intera rassegna dedicata alla “buona comunicazione”, per sottolineare che gli ostacoli legati alla disabilità non sono soltanto quelli comunemente associati alle barriere architettoniche.
Vi sono infatti numerose barriere linguistiche molto più difficili da contrastare e da abbattere.
La mancanza di accessibilità di un ambiente, al pari di uno strumento di comunicazione non fruibile o non accessibile, è una palese violazione dei diritti umani, in quanto discriminante e non inclusiva.
È perciò indispensabile che chi fa informazione si adoperi al meglio per garantire l’accessibilità alla comunicazione, mediante un corretto utilizzo lessicale.
Inclusion Europe
Un argomento di particolare importanza affrontato anche a livello europeo “nell’Inclusion Europe” un progetto finalizzato a rendere i programmi di formazione permanente, ossia l’insieme di quei processi di apprendimento finalizzati ad acquisire o a migliorare il livello di capacità, competenze e conoscenza, seguiti al di fuori del sistema di istruzione tradizionale, più facili da frequentare da parte delle persone con disabilità intellettiva, che ribadisce il principio di quanto sia fondamentale che la diffusione di un determinato contenuto avvenga in modo adeguato e debba soprattutto essere recepito nella giusta maniera.
Easy to Read
Cristina Schiratti e Francesca Stella, quest’ultima persona con sindrome di Down, appartenenti all’ANFFAS di Udine, intervenute ad uno dei dibattiti della rassegna, hanno tracciato le linee guida su come fare arrivare attraverso appositi strumenti tecnici, le informazioni, affinché queste possano essere comprese anche da parte di chi ha un disagio di tipo cognitivo, mettendo in pratica il cosiddetto “easy to read”, ovvero fare in modo che un testo sia di facile comprensione.
La formazione permanente è, per le persone con disabilità intellettiva, inclusività, in quanto costituita per l’appunto da una serie di informazioni facili da comprendere.
A tal fine, Anfas ha dato vita a “gruppi di lettori di prova”, opportunamente formati che fanno sì che le informazioni che si vogliono dare, siano accessibili, ossia che vengano realmente recepite nella giusta maniera, utilizzando, ad esempio, espressioni tradotte in una terminologia semplicistica in modo da poter essere compresi da tutti.
In questa ottica, Anfas ha realizzato altresi delle linee guida da seguire nella formulazione dei quesiti oggetto di consultazione referendaria ed in occasione delle elezioni europee.
Terminologia Inappropriata
Pierpaolo Gregori, giornalista e Direttore Generale La Fonte Comunità Famiglia, ha posto invece l’accento sulla terminologia che viene spesso utilizzata quando si parla delle persone con disabilità.
“La lucuzione diversamente abile si è evoluta nel tempo.
Una volta infatti si utilizzavano termini come handicappato, mongoloide, ecc…”.
La persona – come affermato dallo stesso – deve costituire il centro di un pezzo giornalistico e la disabilità deve essere invece considerata soltanto una conseguenza, quasi come fosse un’appendice del racconto.
“La disabilità va menzionata solo se funzionale all’articolo e vanno evitate inoltre tutte quelle narrazioni di sensazionalismo, che assegnano alla persona con disabilità il ruolo di vittima o di eroe della situazione.
Espressioni come: affetto da… , soffrire di… , essere vittima di…, andrebbero sostituite con persona con… autismo, con sindrome di down e via discorrendo.
Ed ancora, modi di dire come costretto/ridotto su una sedia a rotelle, espressioni lessicali che possono essere rimpiazzate da locuzioni come: persona con difficoltà motorie; o termini del tipo: i “fragili”, gli “ospiti” delle rsa, i “pazienti” andrebbero sostituite con l’espressione residenti.
comunicazione aumentativa alternativa
L’intervento di Annalisa Zovatto – ANFFAS Trieste – ha invece riguardato la comunicazione aumentativa alternativa, metodo caratterizzato dalla combinazione di immagini e parole, la quale, nel corso della sua esposizione, ha posto l’attenzione del pubblico in sala e di quanti hanno seguito il dibattito da remoto, sul proprio disagio, cagionato dal fatto che spesso le dimensioni dei caratteri adoperati sono troppo piccoli da leggere, denunciando altresi la difficoltà di comprensione dei quotidiani da parte di chi ha una determinata disabilità.
L’inaccessibilità della comunicazione trova la sua ragion d’essere dal fatto che tradizionalmente non si è minimamente pensato alle persone con disabilità come fruitori dell’informazione, una barriera questa, che genera inevitabilmente esclusione.
Il linguaggio semplificato non è però sempre sufficiente, essendo necessario ricorrere alla tecnica di comunicazione aumentativa alternativa, ossia a tutti quei metodi per accrescere la comunicazione naturale, anche facendo uso di simboli grafici, nel totale rispetto della dignità stessa di una persona, oltre che della sua inclusione sociale.
Lettura facilitata
Per la dottoressa Lucia Baracco – Associazione Lettura Agevolata, nonché architetto del comune di Venezia, la lettura facilitata per persone con disabilità visiva, oggi si è estesa a qualsiasi altro tipo di difficoltà.
La leggibilità di un testo è, a suo giudizio, un fattore fondamentale dell’accessibilità, ovvero un parametro indispensabile che deve essere considerato anche nella progettazione edilizia e nella costruzione di oggetti destinati all’uso quotidiano, in quanto accorgimenti che fanno parte della comunicazione inclusiva.
“La leggibilità deve essere fruibile da tutti coloro che hanno problemi alla vista” – ha affermato–.
Gli elementi da considerare ai fini di una reale fruibilità condivisa sono:
• le dimensioni dei caratteri;
• il contrasto di luce;
• il font;
• il contrasto dei colori;
• il maiuscolo ed il minuscolo.
Per avvalorare la propria tesi, la dottoressa Baracco, si è avvalsa di esempi quali la limitata leggibilità dei caratteri con cui sono scritti i bugiardini, di quella dei foglietti illustrativi dei farmaci, o delle istruzioni d’uso degli smartphone, piuttosto che delle scritte sugli sportelli telematici di aeroporti, stazioni, banche, ma anche più banalmente della dimensione, spesso troppo ridotta, dei tasti delle tastiere dei pc.
“Dovrebbero essere utilizzati diversi tipi di formati grafici per ciascuna difficoltà”.
Bisognerebbe cioè avere maggior attenzione rispetto ad un’adeguata leggibilità, che non richiede peraltro un impiego di risorse eccessive e migliorerebbe la vita di tutti.
Software e programmi informatici
Attilio Tebaldi, Responsabile di Mittelcom, azienda di telecomunicazioni, nonché sviluppatore di programmi accessibili, come le tecnologie e gli standard aperti, ha puntualizzato dettagliatamente i principi da osservare nella progettazione di programmi informatici, che devono basarsi su determinati parametri quali:
• contenuto percepibile (attraverso l’inserimento di immagini “comunicazione Aumentativa Alternativa”).
Ciò garantisce a chi ha difficoltà di lettura del testo, di compremderne il significato dalle immagini che vengono visualizzate;
• comprensibilità;
• “robustezza”, ovvero il contenuto del software deve avere un linguaggio che sia fruibile anche nel corso del tempo.
Il webinar tenutosi a Milano, moderato, come quelli precedenti dal dottor Giovanni Merlo, responsabile LEHDA, “Lega per i diritti delle persone con disabilità”, è stato dedicato alla rappresentazione della disabilità nella fiction televisiva e nel cinema.
Rappresentazione televisiva e cinematografica
Toni Mira – giornalista esperto di fenomeni sociali, come ad esempio mafie e criminalità, padre di un ragazzo, oggi sessant’enne, con un grave ritardo psico motorio.
Autore di un articolo scritto in un linguaggio politicamente scorretto che ha fatto comprendere fino in fondo la realtà della disabilità.
“Si è sempre alla ricerca di una normalità che non potrà mai esserci.
Vi è una scarsa informazione di servizio sui diritti dei disabili, anche dovuta al fatto che nel giornalismo non tutte le disabilità sono notiziabili, ossia non tutte, tra le stesse, fanno notizia.
Per non parlare poi degli aggettivi o degli appellativi impropriamente utilizzati, come “poverini”, riferito alle persone con difficoltà, una parola insopportabile.
È lecito – ha sostenuto ancora il dottor Mira – arrabbiarsi con Dio e chiedersi: perché proprio a noi?
Interrogarsi sul perché taluni sacerdoti neghino la somministrazione dei sacramenti alle persone con disabilità mentali se siamo tutti figli dello stesso creatore”.
Una testimonianza, quella del dottor Mira, concreta ed anche ruvida per certi aspetti, espressione dei sentimenti che stanno dietro ad una persona che vive la disabilità del proprio figlio, con tutte le fragilità che questa comporta, raccontandola in tutte le sue sfumature, con un linguaggio realistico, al fine di far conoscere una realtà di cui si parla spesso in maniera non corretta.
Lo stesso dizionario Treccani identifica la persona con disabilità con l’espressione handicappato, minorato, ecc…
Nelle cronache giornalistiche si suole leggere o sentire: il paraplegico ha detto, il paraplegico ha fatto, oppure inchiodato sulla carrozzina o costretto sulla carrozzina, quest’ultima definita strumento di libertà da Franco Bompressi, noto giornalista con disabilità.
È necessario raccontare le storie e monitorarle nel tempo.
Un articolo, infatti, non può essere fine a se stesso, in quanto, qualora lo fosse, non assolverebbe alla funzione sociale intrinseca del giornalismo.
Come è stato sostenuto dal dottor Marco Mazzeo, docente di Filosofia del linguaggio, all’Università della Calabria, è importante distinguere tra la genericità dei termini e la stereotipia, un binomio dal quale non si può prescindere quando si fa informazione, soprattutto per chi scrive in merito a questioni che hanno come protagonisti persone con determinate caratteristiche.
Nel webinar di chiusura della rassegna che si è tenuto a Napoli, il Professor Maurizio Trezzi introducendo il suo intervento, ha messo in evidenza come la comunicazione sociale sia una rappresentazione della società che cambia, che non è granitica, ma muta con la realtà, con il pensiero comune, che non solo rappresenta la realtà ma la condiziona.
“La quantità di divulgazione di un tema – ha asserito – determina il comportamento di chi recepisce un dato contenuto, dando origine a stereotipi”.
Anche la pubblicità è una forma rappresentativa, coincisa ed immediata.
“L’evoluzione nella cultura sociale ha determinato – ha continuato a dire nella sua asserzione Trezzi – un cambiamento della rappresentazione della disabilità, nella sua visione vittimistica, che affonda le sue radici nella concezione cattolica, in contrapposizione all’approccio dei paesi anglosassoni, nettamente diverso, in quanto nella religione Anglicana, non esiste una visione simile.
“La appresentazione nasce dapprima in radio e poi fa irruzione anche sul piccolo schermo.
Carosello è stato, a suo tempo, il primo spaccato della realtà circostante che cambiava, dalla guerra al periodo post bellico”.
Negli anni 60 le rappresentazioni erano solo sui palchi teatrali.
In seguito nacquero gli sceneggiati come ad esempio i promessi sposi, per arrivare poi alle fiction, la piovra, il maresciallo Rocca, ecc…
Un cambio di rotta importante nell’ambito della comunicazione si ebbe con l’avvento della televisione privata e la pluralità di canali.
È solo a partire dal 2000 che si inizia a rappresentare la disabilità nella televisione.
Un tempo c’era una sorta di vademecum per rappresentare i disabili in tv.
Lo si faceva esclusivamente in determinate fasce orarie ed in determinati giorni della settimana.
Una difficoltà che continua ad esserci ancora oggi, spesso infatti si tende a rappresentare una persona con disabilità con una persona normale, essendoci sostanzialmente una mancanza di rappresentazione sociale della disabilità.
“Ricordiamo tutti la serie televisiva la “casa nella prateria”, nella quale Mary Ingols, una delle protagoniste, ad un certo punto della storia, perde la vista e da soggetto vittimista, diventa un esempio per la comunità in cui vive, in quanto diventa insegnante ed è di aiuto lei stessa agli altri ragazzi non vedenti.
O ancora la serie Rick, ragazzo con sindrome di down, in cui il regista ha fatto interpretare il protagonista ad un ragazzo con sindrome di down, dando vita in tal maniera ad una rappresentazione corretta della realtà.
È necessario perciò dire basta una volta per tutte al pietismo e considerare realisticamente che ci sono disabili buoni e disabili cattivi – ha concluso il professor Trezzi -.
Film ddi animazione
“Si è abituati a pensare che un film di animazione sia esclusivamente un prodotto destinato ai bambini, un cartoon che contiene un messaggio di sensibilizzazione per i più piccoli, finalizzato a cambiare la cultura sociale – ha introdotto così la propria dissertazione il dottor Lorenzo Bianchi, esperto di cinema -.
“Personaggi come la piccola Heidi e la sua storia di amicizia con Clara, ragazza paraplegica, sono senza ombra di dubbio, animazioni che favoriscono l’inclusione, una rappresentazione che a sua volta, influisce sull’evoluzione della visione sociale che si ha della disabilità.
Noti cconclusive
Quella che abbiamo cercato di riassumere nelle sue parti più salienti, è stata una serie di incontri molto interessanti, che hanno dato modo, anche a chi non fa parte di coloro che per professione si occupano di informazione, di riflettere su un tema poco dibattuto.
Webinars che hanno fatto emergere l’importanza sociale della comunicazione e della sua accessibilità anche da parte di chi ha una difficoltà in più, nel rispetto della dignità della persona stessa.
L’informazione è realmente fruibile quando è recepita da tutti.
A tal fine è necessario utilizzare un linguaggio semplice, di facile comprensione, con testi che rispecchino determinati parametri di leggibilità che renda il loro contenuto accessibile anche a chi ha un disturbo cognitivo.
In definitiva, possiamo concludere dicendo che una corretta informazione, non discriminatoria, non può prescindere da una recezione diffusa, fonte primaria di inclusione sociale.
Fonti:
https://drive.google.com/file/d/1S0zgDQtXIjvzrV4ywnAFdzeVKCGWD3BI/view?usp=drivesdk