Come ricorda Roberta, sua moglie, Ugo era una persona concreta e al tempo stesso volitiva, che adorava la letteratura e la bellezza della vita.
Diceva d’esser nato due volte, per questo era solito festeggiare il suo compleanno in due giorni diversi, volendo celebrare tutti gli anni anche l’anniversario della sua rinascita dopo aver subito un trapianto di cuore e polmoni insieme.
Raccontiamo la sua storia attraverso i ricordi della sua compagna di vita che gli è stata accanto sino agli ultimi istanti della sua esistenza, in una simbiosi non comune alle altre coppie.
“Mio marito è nato prematuro.
È stato questo probabilmente ad aver fatto insorgere la fibrosi cistica che, negli anni novanta se lo è quasi portato via.
Allora non sapeva ancora che il suo destino sarebbe stato invece un altro.Ugo Riccarelli, Premio Strega 2004 per la letteratura
Quando un medico avventuroso gli disse che in quel periodo a Londra si stavano tentando dei trapianti di polmone, non ci pensò su due volte e, dopo un doppio trapianto di cuore e di polmoni, nacque per la seconda volta.
Inizialmente, dopo il trapianto, conduceva una vita normale, ma ben presto cominciò ad avere seri problemi respiratori a seguito di un rigetto e di altri problemi legati alle terapie antirigetto molto pesanti, alle quali le persone trapiantate devono sottoporsi per tutto il resto della loro vita.
Mio marito mi ha insegnato cos’è l’amore per la vita.
Sin dal nostro primo incontro, ho capito subito che persona straordinaria avessi accanto.
Un uomo attaccato alla vita che, malgrado l’esigua capacità polmonare e le cure pesanti a cui si sottoponeva, riusciva sempre a trovare dentro di sé la forza di combattere e di rialzarsi.
Una linfa che traeva dalla scrittura, amava la letteratura, era tutto per lui.
A ridosso del trapianto scrisse il suo primo romanzo “Le scarpe appese al cuore”, nel quale narra di questa sua esperienza personale.
Un elogio di gratitudine per il dono che aveva ricevuto e per la vita che gli era stata restituita da un diciassettenne, morto a seguito di un incidente stradale.
Un gesto generoso che fece a sua volta, in un “trapianto domino”, perché il suo cuore, ancora integro, fu donato ad una donna alla quale quel dono ha regalato persino la gioia di diventare madre.
Un profondo senso di riconoscenza verso il suo donatore, che lo spinse a fare da testimonial nella sensibilizzazione sulla donazione degli organi.
Successivamente pubblicó “il dolore perfetto” per il quale fu selezionato come candidato alla prestigiosa edizione letteraria del 2004 del Premio Strega.
Ci siamo conosciuti in una discussione online sulla letteratura.
Fu in quell’occasione che, non avendo contezza di chi ci fosse dall’altra parte della rete, gli confessai per la prima volta che a me la letteratura italiana non piaceva poi così tanto e lui questa cosa me la rimproveró sorridendo fino alla fine dei suoi giorni.
Da li ci siamo scambiati numerose email, alle quali fece seguito il nostro primo incontro che ricordo fu al McDonald’s della stazione di Santa Maria Novella.
A quei tempi vivevo a Modena, lui era di Pisa, e Firenze era un punto di passaggio per me che facevo la pendolare, in quanto docente di diritto del lavoro alla Sapienza di Roma.
Auguro a tutte le persone a cui voglio bene una vita di relazione come quella vissuta con lui.
Ci sono state ovviamente difficoltà da superare e limiti legati alla sua condizione che ci hanno impedito di fare molte più cose di quanto avremmo potuto fare se Ugo fosse stato bene.
Ogni viaggio era organizzato in modo che nei vari luoghi di villeggiatura avesse comunque la possibilità di proseguire la dialisi e, se la meta da raggiungere richiedeva uno sforzo troppo pesante per lui che specialmente negli ultimi tempi, non riusciva più neppure a fare qualche passo senza sentirsi affaticato, lasciava che fossi io ad andare.
Sto pensando a quando, ad esempio, con i miei amici più cari avevamo deciso di andare a New York ed Ugo volle che ci andassi con loro pur senza di lui, dicendomi che avrebbe comunque fatto quel viaggio insieme a me, attraverso i miei occhi.
Ha vissuto tutta la sua vita con un sorriso, pur non negando la sua disabilità, anzi, rivendicava con forza una normalità che di fatto non aveva, poiché l’insufficienza polmonare gli impediva purtroppo di fare alcune cose.
Detestava chi gli offriva un aiuto in più rispetto a quello di cui aveva bisogno, preferendo sempre far da sé le cose che riusciva ancora a fare da solo.
Abbiamo condiviso momenti belli, come la grande emozione alla cerimonia di premiazione, al Ninfeo di Villa Giulia a Roma, del premio Strega.
È stato bellissimo, un evento che ci ha fatto sentire come se avessimo vinto entrambi quel riconoscimento, in una simbiosi di puro amore l’uno per l’altra.
Gli ultimi sei mesi della sua malattia, sono stati invece quelli più duri.
A causa di un’infezione polmonare che, da lì a poco gli sarebbe stata fatale e che gli rendeva difficile respirare, nonostante le sue grosse difficoltà di spostamento, facevamo su e giù in aereo, per recarci al centro ISMETT di Palermo, il migliore nel settore dei trapianti del nostro Paese, una collaborazione dell’università di Pittsburgh, con il sistema sanitario italiano.
Ma per me ovviamente il momento più terribile da affrontare è stato l’epilogo della storia.
Non ho mai pensato di prendere il testimone di mio marito facendo campagna di sensibilizzazione sulla donazione degli organi, non sono nessuno per poterlo fare, ma mi batto sul tema della disabilità e delle differenze in generale.
Un argomento che mi stava a cuore già dai tempi in cui ero docente di diritto del lavoro all’università la Sapienza di Roma, dove ho preso parte a numerosi progetti di “diversity management”, ovvero di gestione delle differenze, ma la storia con Ugo, oltre a farmi comprendere il vero valore della vita, mi ha insegnato che è inutile viverla se la si vive male e che ciascuno, con le proprie fragilità, è prezioso per gli altri, contribuendo a far crescere il mio interesse verso queste tematiche.
Ugo è stato l’amore della mia vita e per me è come se fosse ancora vivo.
Vorrei esortare chi ha una disabilità a vivere la propria vita sfruttando al massimo ciò che questa può dare, se pur con i limiti della propria condizione e dire a chi entra in contatto con la diversità, di non far finta che questa non ci sia, ma di rispettarla, perché in fondo la disabilità non è niente di più che una caratteristica”.Attraverso la storia di Ugo e del suo smisurato amore per la vita, abbiamo voluto onorarne la memoria e ribadire l’importanza della donazione degli organi e di come, un semplice gesto di generosità, possa ridare speranza a tante persone, in attesa di un trapianto che, proprio come lui, aspettano di vivere la loro seconda vita.
https://www.ismett.edu/it/