L’anoressia nervosa, uno dei disturbi alimentari più comuni, consiste in una restrizione delle sostanze ingerite e porta chi ne soffre a ridurre drasticamente l’apporto di calorie, cagionando un brusco e repentino calo di peso, spesso associato alla messa in atto di comportamenti compensatori, come ad esempio l’iperattività, che può anche mettere a rischio la stessa vita della persona.
Frequentava il quinto liceo quando, a seguito dell’esperienza vissuta dalla sua migliore amica, ricoverata in una struttura ospedaliera, Sandra si ammala di anoressia.
Sandra – durante una testimonianza ad un evento di sensibilizzazione sull’anoressia-
“Non è un disturbo alimentare contagioso, tuttavia ci sono degli aspetti scatenanti, che ad un certo punto esplodono” – spiega -.
“Comprendere le cause del malessere che era nel profondo della mia anima, non è stato facile.
Questo implica un percorso di analisi personale che va ad indagare le radici del malessere.
Diversamente da quanto si può pensare, il disturbo alimentare non insorge per un desiderio di cambiare la propria forma fisica, quello è piuttosto il sintomo, la punta dell’iceberg, ma alla base di queste malattie ci sono spesso traumi, momenti di vita e rotture, a volte non affrontati nella giusta maniera, che fanno in modo che un malessere si traduca in un sintomo che in realtà dice ciò che la persona non riesce ad esprimere verbalmente.
Andare a scavare nel proprio inconscio significa quindi tirar fuori quelle parole che raccontano quei frammenti di vita spezzata, tentando di ricucirli per trarne degli insegnamenti e delle opportunità di crescita.
Inizialmente, come tutte le persone che si ammalano di questo tipo di disturbi, pur sentendo che qualcosa non va dentro di sé, si tende a negare di avere un problema, tentando di opporre resistenza, per paura di affrontare ciò che si sta vivendo.
Anch’io ho fatto un po’ braccio di ferro, in quanto non accettavo di farmi aiutare, negando di avere un problema con il cibo e con il mio corpo.
Avevo un profondo senso di inadeguatezza verso i miei coetanei e verso le aspettative che gli altri avevano su di me.
Sentivo di non essere all’altezza rispetto a come la vita mi chiedeva di essere.
Ricordo quei momenti difficili, un periodo in cui ero confusa, spaventata da quel malessere che cresceva dentro di me, ma allo stesso tempo avevo paura ad andare a fondo al mio disagio.
È stato fondamentale in quei momenti il supporto delle persone che mi stavano accanto e, dopo aver trovato il coraggio di chiedere aiuto, ho intrapreso un percorso terapeutico di diversi anni, che mi ha portato sulla strada della guarigione”.
I primi a lanciare l’allarme sono stati gli insegnanti di Sandra, anche se ovviamente i familiari si erano già accorti che c’era qualcosa che non andava in lei.
La psicologa della scuola, dopo un primo supporto, l’ha indirizzata verso una psicoterapeuta con la quale iniziò un breve percorso di tre anni,una terapia che, credendo di avere elaborato le questioni che più desiderava affrontare, decise poi di interrompere, ma le sue difficoltà con il cibo continuavano tuttavia a permanere e ad aggravarsi con il passare del tempo…
Dopo diversi anni di insistenza da parte della sua famiglia, Sandra, cedendo a quei ripetuti appelli, accettò di riprovarci ancora una volta, sottoponendosi ad una prima visita in un centro specializzato nella cura dei disturbi alimentari, non sapendo che così facendo stava concedendo ad una parte di sé, quella che voleva continuare a vivere, la possibilità di ritornare ad una vita “normale”.
“È stata quella la prima volta che ho sentito realmente la sensazione di essermi salvata.
Grazie alla mia psicoterapeuta che mi segue ormai da dieci anni, sono riuscita a fare una serie di cambiamenti, ma questi richiedono tempo, coraggio, pazienza e soprattutto fiducia in chi possiede gli strumenti adatti per poterci aiutare.
Un percorso di analisi introspettiva che, associato a trattamenti di tipo ambulatoriale con una psichiatra ed una dietista, in un approccio multidisplinare integrato che, ad oggi, mi ha fatto raggiungere risultati importanti”.
“Non si può uscire da un disagio molto più grande di noi, senza nessun aiuto esterno.
Da un disturbo alimentare non si guarisce mai da soli, anzi il fai da te può peggiorare una situazione che all’inizio potrebbe essere di non gravità e per questo motivo intervenire precocemente è fondamentale, in quanto questo consente di accorciare i tempi di guarigione”.
Sandra, attraverso varie associazioni ed enti, impegnati nella sensibilizzazione dei disturbi alimentari, ha portato il suo vissuto e la propria testimonianza sul tema.
“Farlo è stato quasi catartico, essendo stato in qualche modo terapeutico per me stessa”.
“Oltre. Scoprirsi fragili: confessioni sul (mio) disturbo alimentare” (ed. Liberodiscrivere) è il libro autobiografico nel quale racconta cosa vive una persona con un disagio alimentare, dove ‘oltre”, sta per “non si può andare oltre una determinata cosa, senza averla prima attraversata.
Proprio come è accaduto a lei.
“L’esperienza della mia malattia è stata come aver attraversato la mia sofferenza, le mie difficoltà ed i miei traumi, per ritrovare la parte più autentica di me stessa”.
Un libro che Sandra ha portato in diversi eventi, soprattutto in quelli organizzati per celebrare la giornata nazionale del fiocchetto lilla, in tutta Italia.
Un messaggio di speranza per tutti coloro che lottano contro questo tipo di disturbi, ma anche la prova tangibile che se ne può uscire, oltre a far comprendere alla gente, che nonostante gli stereotipi ed i pregiudizi legati a queste tematiche, se ne può parlare.
Una storia, che vuol essere d’aiuto per chi non ha ancora trovato il coraggio di raccontare la propria sofferenza.
“I disturbi alimentari sono malattie che si nutrono di silenzi, di isolamento e di solitudine.
Malattie in cui il corpo prevarica sulla parola, dove il corpo diventa teatro di un’estenuante battaglia interiore, è un corpo che parla.
Ma quando ho scritto questo libro, ho pensato potesse essere d’aiuto anche a chi ha un proprio caro che ne soffre e che non sa cosa fare, come comportarsi, facendo fatica a comprendere il linguaggio della malattia, un linguaggio tutto suo, che necessita del supporto dei professionisti per essere decodificato”.
“Non bisogna aver paura di chiedere aiuto, pensando che questa sia una dimostrazione di fragilità, né vergognarsi di esserlo”.
Il libro di Sandra ha ispirato uno spettacolo teatrale, dal titolo “La voce”, messo in scena dalla compagnia Farmacia:Zooè di Venezia-Mestre, attorno al quale è stato costituito un progetto di sensibilizzazione diretto alle scuole secondarie ed ai teatri di tutta Italia, che ad oggi ha raggiunto quattromila studenti del nostro Paese e poco più di un migliaio tra operatori, educatori e cittadini più o meno coinvolti in queste patologie, per sensibilizzare sul tema del disagio alimentare attraverso l’arte, intesa come teatro da un lato e scrittura dall’altro, per combattere e prevenire, considerato che la prevenzione è il primo strumento di cura in assoluto, lo stigma che a tutt’oggi continua ad aleggiare su queste patologie.